Dirllinger: tra Marche e Romagna, tra passato e futuro

Dirlinger: tra Marche e Romagna, tra passato e futuro

Nel cuore della provincia tra Marche e Romagna nasce la voce di Dirlinger, alias Andrea Sandroni. Con “Contastorie”, il cantautore “marchignolo” – come ama definirsi –  costruisce un universo fatto di personaggi e simboli, dove ogni canzone diventa uno specchio, una favola, una domanda sospesa. Un ascolto che comincia con un omaggio a Don McLean con la sua traduzione di “Vincent”… e penso siano riferimenti dovuti e che onestamente mi sarei atteso. E poi ancora citiamo “Mafalda”, brano vincitore del Premio della Critica al Premio Pigro e finalista al Premio Dalla 2024.

E procede così Dirlinger, un disco che mescola leggerezza e riflessioni, il tempo nuovo e nuove forme per codificare quel genere folk acido ai bordi che tanto ha contaminato la scena attuale. Dirlinger: un disco tra Marche e Romagna, tra passato e futuro.

Si bada sempre ad una certa “territorialità” del suono. E noi che siamo “vicini di casa” con le Marche, ci stupiamo sempre di come certi suoni possano raccontare di ben altre geografie. Secondo te, l’habitat di questo disco, qual è? Dove dovremmo andare nel mondo per riportarlo a casa?
In realtà mi ritengo abbastanza girovago. I suoni dell’album sono i suoni con cui sono cresciuto (quelli del cantautorato folk e soft rock italiano e straniero) e le storie di cose che accadevano fisicamente attorno a me e non solo (i social possono essere degli importanti mezzi di comunicazione).

Se dovessi paragonarlo ad un posto, direi che sarebbe simile ad un paesello di campagna da cui si vede in lontananza il mare, con le case del dopoguerra e le auto e i motorini degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, ma con l’aggiunta di una grande finestra aperta sulle questioni e sui problemi del nostro tempo. Insomma, uno spazio liminale che mi ricorda il mio paese quando ero piccolo, Tavullia, ma con l’aggiunta di uno sguardo sull’oggi.

Esiste qualche segno tangibile della provincia che vivi ogni giorno nel suono che produci? E dentro le liriche che canti nelle storie?

Nel suono c’è la fascinazione per quegli anni passati e per la provincia di quei tempi, a cavallo tra tradizione agricola e industrializzazione: in questo senso, questo mio cercare di restare in bilico lo sento attinente a quelle realtà. I testi credo siano più omogenei nell’essere “glocali”, tra problemi personali e sociali.

Per te il moderno folksinger che figura è diventata e che peso ha in società?

Credo sia rimasta la stessa dei suoi tempi d’oro: un po’ defilata ma non troppo, a lasciare intravedere un’alternativa musicale, sociale e culturale. I cantautori difficilmente sono stati al centro dei media tradizionali o del panorama mainstream; soltanto ad un certo punto è diventata una categoria catalizzatrice di un certo tipo di ascolto alternativo che non si poteva più ignorare. Speriamo di riuscire a riportare quel tipo di attenzione.

Inevitabile chiedertelo: perché tanto vintage dentro questo disco? Sembra ci sia un accanimento scenico anche dentro le foto e il video… che scelta rappresenta?

Più che una scelta si tratta della conseguenza di essere cresciuto con quel mondo lì e poi, ad un certo punto, di aver scelto consapevolmente di continuare a fare mio quel linguaggio musicale e lirico, almeno fino a quest’album. A questo, aggiungici che emano “vintagismo” a iosa (o, per lo meno, così mi dicono) e quindi tutto converge nel farmi trovare più a mio agio tra quei colori e quei segni.

Esiste dell’intelligenza artificiale o artificiosa in quello che produci? Oppure ha senso chiederti se ti ci appoggerai per le prossime storie da raccontare?

Almeno finora non ne ho usata, ma non perché mi piaccia fare l’apocalittico: ad oggi, generalmente, non apprezzo come interpola le creazioni musicali e visive, e quindi non me ne servo. Ma qualora mai dovesse diventare funzionale per le mie creazioni me ne servirò senza remore.

 

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