Romeo Como parla del suo nuovo libro “La vergine sepolta”

Romeo Como parla del suo nuovo libro “La vergine sepolta”, che ha presentato l’11 marzo 2025 presso il Palazzetto dell’Arte a Foggia.

Locandina convegno 11 marzo 2025

E’ un lavoro storico che prosegue il suo impegno di ricercatore coinvolto anche in diversi campi (narrativa, poesia e musica). E’ socio della Società di Storia Patria per la Puglia – Sezione Di Foggia.

Nato a Palena, oggi vive a Foggia con la moglie Antonietta e i figli Alessandra e Mario. E’ comunque molto legato alle sue origini come testimoniano tante sue pubblicazioni passate e la storia narrata ne “La vergine sepolta”.

Di seguito le dichiarazioni da lui rilasciateci.

Romeo Como parla del suo nuovo libro “La vergine sepolta”, presentato martedì 11 marzo 2025 presso il Palazzetto dell’Arte a Foggia

Buongiorno a tutti,

Chi vi parla è un “antico bambino” che, come narrato nel primo libro, Le donne raccontano, citato dal presidente, 81 anni fa, lungo la Linea Gustav, fu salvato da una donna, sua madre che, per difendere i suoi due figli da una pistola nazista impazzita alla spasmodica ricerca di una giovane donna da lei nascosta, gettò quel soldato per le scale e nella fuga, di notte, sotto una pioggia torrenziale, trovò riparo con i suoi figli nella camera mortuaria del paese, Colledimacine, dove ci si riscaldò, in preghiera, con il fuoco di croci di legno divelte dalle umili tombe. Quale occasione migliore di dedicare a lei questo mio intervento e alla vergine sepolta questo libro che gradirei non restasse inedito.

 

Signore e signori,

il mio intervento non sarà quello di riferire, sic et sempliciter, un fatto, ma di indicare la via da me scelta di far rivivere il fatto, ridargli un’anima, un valore, un significato valido nella nostra contemporaneità e nelle nostre coscienze frastornate da un mondo sempre più ottusamente utilitaristico, da un opportunismo di massa. Di qui il soffermarmi sulle ragioni addotte nella prefazione di questo inedito: La vergine sepolta.

L’esposizione di documenti del 2012 presso l’Archivio di Stato di Foggia

Nel 2012, in occasione della Festa della Donna, l’Archivio di Stato di Foggia espose, in una mostra, una se­lezione di documenti penali relativi alla violenza sulle donne nell’Età mo­derna, emersa dalle buste residue della serie IX del fondo Dogana delle pecore. Nell’opuscolo, La vergine rapita, il curatore, Viviano Iazzetti, sot­tolineava come dalla revisione dei fascicoli penali, relativi a delitti patiti o com­messi dai sudditi di Dogana negli ultimi trent’anni del Set­tecento, si erano rinvenuti molti in­carti re­lativi a reati contro le donne. L’opuscolo presenta brevi sintesi di ven­ti pro­cessi riguardanti violenze sulle donne. I Comuni di Capitanata ricorrenti con uno o più casi: Monteleone di P., Pietra M., Foggia, Rocchetta S. A., Ascoli S., Lucera, Faeto.

Il tema ripreso durante il convegno

Il tema viene ripreso e riproposto nell’ambito di questo convegno. Il mio compito: occuparmi della tra­scri­zione di uno di questi processi penali. Il caso da me scelto riguarda la subdola seduzione di una giovane donna per­petrata da un insospettato religioso occorsa a Faeto nell’anno 1783: il processo per lo stupro com­messo dal sacerdote Saverio Ruggiero ai danni di Maria Giuseppa Garzone di cui era precettore e succes­sivo rapimento della giovane in stato di gravidanza con furto di denaro e altre suppellettili, avvenuto con la complicità del fratello del sacerdote e della cognata, colpevoli di aver nascosto la giovane in una fossa sotto la loro casa”.

Il materiale documentale, cui il caso si riferisce

Il materiale documentale, cui il caso si riferisce, si compone di due ma­noscritti.

Il primo si compone di due parti: la prima, riguarda l’istruttoria  esperita dal vicario della Curia vescovile di Troia, don Arcangelo Sorrentino, e quella condotta dal Governatore della baronia della Valmaggiore, don Giuseppe de Carolis; la seconda parte tratta l’istruttoria condotta dall’uditore dal tribunale della Dogana di Foggia, don Angelo Polacchi e l’esito del processo presieduto dal governatore, barone Mascara, presente l’avvo­cato fiscale don Francesco Nicola de Dominicis; infine, il decorso e l’esito finale del processo svoltosi a Napoli, nella regia Camera della Som­maria e presieduto dal suo presidente, Porcinari.

La trascrizione del testo presenta un mio moderato intervento sulla punteggiatura, un corredo di note a piè di pagina. Dei testimoni chiamati nel processo, nove le donne: quattro giovani nubili e tra queste la vittima Maria Giuseppa Garzone; due levatrici originarie di Montecalvo Irpino; tre mogli di artigiani. L’età media 32 anni; tutte accomunate dal segno di croce apposto in calce alle loro depo­sizioni. Diciannove gli uomini: Giovanni Garzone, padre della gio­vane violentata; un giudice; un affittatore di mulini baro­nali; quattro massari e due uomini di campo; tre braccianti; nove artigiani, di cui due fabbri ferrai, tre muratori e due calzolai, un sarto e un bar­biere. Età media 40 anni. La maggior parte degli ar­tigiani apposero la loro firma autografa, mentre tutti quelli di estrazione contadina di­chia­rarono di non saper scrivere. Un cenno ora sui principali personaggi.

Romeo Como parla del suo nuovo libro “La vergine sepolta” e dei suoi principali personaggi

Giovanni e Maria Giuseppa Garzone, Don Nicola Garzone

Giovanni Gar­zone, vedovo, con i suoi quattro figli e il fratello. Viveva del suo, delle rendite che il pa­trimonio gli assicu­rava; per la gente “persona onorata e dabbene”, in piena coe­renza con quel titolo di nobiltà generica di “magnifico” e per quel “don” che ne ri­mar­cava un vivere decoroso more nobi­lium, in uno con una avvertita par­teci­pa­zione alla vita locale, e quale “lo­cato”, alle vicende della regia Do­gana di Foggia.

Maria Giuseppa Gar­zone di ventidue anni, ancor zitella. Ve la presento. Entriamo nella sua stanza. Un elegante lettino in ferro battuto lumeggiato in oro addossato ad una parete, il telaio vicino alla finestra disposta ad assicurar­gli luce alla biso­gna; accanto, il vecchio armadio a muro con lenzuola e tovagliato di­sposti nei ripiani in bell’ordine, con cura, e dall’odore domestico di erbe di campo, in attesa per far da dote alla giovane donna.

Sotto la finestra e accanto al letto, un piccolo pregevole scrittoio di noce. Entrando, ti acco­glieva il suono cadenzato del telaio e il bel sor­riso di Ma­ria Giuseppa intenta a se­guire la dinamica dell’in­treccio, e seguire i suoi sogni che, nel far passare i fili della trama tra quelli dell’or­dito, si dileguavano e si ri­componevano fra le sue mani per poi di­schiudersi in un canto intimo, lieve.

Don Nicola Garzone, arciprete del paese dall’in­cedere solenne, a passo a passo e dal linguag­gio chiaro.

Caterina Tangi, Don Saverio Ruggiero e Anna e Caterina Spinelli

Don Saverio Ruggiero, persona in stato di furore erotico: un assatanato, detentore d’un pen­siero estremo: tradire, come suol dirsi, Padre, Figliuolo e Spi­rito Santo. Chissà quale convenienza lo indusse a farsi prete, a benedir fan­ciulli e anime timorate di Dio, a dar l’estrema unzione a poveri cristi, a offen­dere e disonorare la pietas romana e cristiana, fonti di atti di soccorso, misericordia e amore.

Ca­terina Tangi, pettinatrice a do­micilio, ben ac­corta a percepire l’umore delle case e del vicinato, buon’amica della madre della vittima. Percepito il pericolo cui stava andando incon­tro Maria Giuseppa, incu­rante d’impic­ciarsi di fatti altrui col rischio d’esser maltrat­tata, licenziata e beccarsi una denunzia per calunnia, avendo tra le mani l’indizio e non la prova, cercò in tutti i modi di arginare quel terribile so­spetto.

Infine, Anna e Caterina Spinelli due adolescenti che troviamo nel pagliaio dell’Argaria a portar paglia alla stalla, e in località Piscero a trasportare giulive, ma ignare, il materiale di risulta del fosso praticato dai complici del reo nella stalla dove la vittima incinta veniva infossata.

Dopo il lavoro di trascrizione

Al termine del mio compito, il lavoro di trascrizione mi è apparso inappagante. Le carte dell’inchiesta termi­nano con Maria rinchiusa nel Conservatorio delle pentite di Foggia, l’arresto di un complice trasferito nelle carceri della Gran Corte della Vicaria e la condivisibile indignatio civile del locato don Giovanni. Indignatio sia per la sospetta fuga del reo dalle carceri della Baronia della Valmaggiore, sia per la risibile condanna ad Palatium prima e per ordi­nem poi di un complice e a piede libero la moglie. Tutto ciò, nonostante si fossero ben chiariti i fatti relativi alla fuga, al furto, all’ignobile occultamento della vittima in stato di gravidanza.    

Ma quale sorte volle assegnare il destino a Maria Giuseppa e al nasci­turo, e quale al vile ed empio prete?

Purtroppo le nostre aspettative di aver un minimo ragguaglio documen­tale riposto in qualche altro archivio civile o religioso sono andate deluse. Ma come ritrovare e restituire al tempo quelle presumibili impronte che il tempo stesso, bon gré mal gré, ha cancellato?

L’empatia verso Faeto

La mia insoddisfazione emer­geva da una serie di considerazioni che mi invogliavano ad andare avanti. Considerazioni legate al mio sentimento di empatia verso questo luogo, Faeto, per via dell’affinità con il mio luogo di origine, Palena: ambedue per essersi posti come limes, fra fedeli ai Normanni e fedeli ai Bizantini, tra filosvevi e filoangioini, tra que­sti e i filoaragonesi e per essere due isole antropologiche dal punto di vita linguistico. Inoltre, per un bellissimo ricordo d’un incontro avvenuto proprio a Faeto, cinquant’anni or sono, quando, dalla Direzione dei Ser­vizi Agrari del Consorzio per la Bonifica della Capita­nata, mi fu affidato il compito dello studio dell’ambiente fisico e socio-econo­mico dell’estesa fa­scia montana dauna, quale parte introduttiva del “Piano di bonifica mon­tana del Su­bappennino Dauno”.

E allora, perché non restituire e far rivivere a chi del luogo la diffusa apprensione, l’inquietudine che quell’ac­cadimento generò nell’animo della comunità e la trepida attesa delle sentenze emesse dai tre tribunali? Perché non rivivere quel clima che si respi­rava nel borgo e nel con­tado e ridisegnarlo, se­guendo una ricostruzione retrospettiva verosimile sulla base del reso­conto di quel particolare accadimento?

Da trascrittore a narratore

Così, da trascrittore son pas­sato a narratore.

Per dar vita al mio proposito, ho seguito il metodo della giu­stapposizione sincronica delle testimo­nianze, segnando, come linea di demarcazione, la data della scomparsa della vittima. Di qui la struttura del mio lavoro: seguire una narrazione tesa a far riemergere, nella prima parte del lavoro, il te­pore di una quotidianità semplice, serena, sorpresa da un brutto accadi­mento, seguendo i passi e la voce dei testimoni colti prima nell’ora del loro lavoro, chi nel borgo e chi nel contado, per poi entrare insieme ad essi nei luoghi dove si svolsero le loro deposizioni e star lì a seguire l’iter del processo e riferire l’esito di quel brutto fatto inviso al santo, ai faetani e a noi tutti. Un taglio narrativo, dunque, d’una vicenda che, se­guendo i dettami del romanzo storico, volge a dar nuova vita alla cultura e alla quotidianità d’un luogo, senza allonta­narsi dal vincolo della verità sto­rica.

Sono entrato in quelle prospettive di intimità in punta di piedi, nel ri­spetto del pudore d’altri, per la­sciarmi sorprendere dal disve­larsi di valori primari radicati nelle nostre profondità e capaci di donarci una co­scienza nuova. Nella trascrizione delle pagine più drammatiche del documento, la mia mano stringeva il dramma profondo di quel fiore solitario violentato, che aveva accanto, lungo la via francigena che attraversa la terra di Faeto sotto la collina di Crepacore, sacra al pellegrino e al pastore, la sua creatura presa per mano da un’anima amica, Caterina Tangi, una popolana. Un’anima colta dal mio immaginario ad indicare la via dell’umana, fraterna rinascenza, colma di laica religiosità, tesa a rischiarare un orizzonte di vita.

Dalla umana pietas alla passione civile

Di qui il mio lavoro, nello spon­taneo tragitto, dalla umana pietas alla passione civile, volta a difen­dere un’anima fragile, amica, soprattutto non presente, per ri­trovarsi avvolto da quell’immagine di silen­zioso consenso alla vita di un’anima semplice, innocente, vittima di un vile oltraggio. Poi, nel silenzio della notte, il mondo del borgo antico mi ha offerto il suo sguardo silente, porgendomi, confi­dente, un sogno di tenera intimità accompa­gnato dal canto lieve di una me­lodiosa voce amica, voce a me cara: il canto di quel fiore solitario, il canto di Maria Giuseppa Garzone. Grazie.

 

Le foto nell’articolo “Romeo Como parla del suo nuovo libro “La vergine sepolta”” sono state gentilmente fornite da Romeo Como

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