80 anni fa la fuga di Re Vittorio Emanuele III dal porto di Ortona

80 anni fa la fuga di Re Vittorio Emanuele III dal porto di Ortona

80 anni fa la fuga di Re Vittorio Emanuele III dal porto di Ortona.

8 settembre 1943: il Generale americano Eisenhower alle ore 18:00 annuncia da radio Algeri che l’Italia aveva firmato l’armistizio.

Veramente il Generale italiano Castellano aveva apposto la firma sul documento il giorno 3 settembre 1943 a Cassibile (una cittadina della Sicilia) in un uliveto di proprietà della baronessa Aline Sinatra Grande.

Grande fu la sorpresa in tutti gli apparati militari, per questa notizia tenuta segreta. A essa seguì il laconico proclama del Generale Badoglio circa un’ora dopo l’annuncio dato da Eisenhower.

«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.

Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

80 anni fa la fuga di Re Vittorio Emanuele III dal porto di Ortona – i dettagli

In alcuni piccoli centri abruzzesi gli abitanti interpretarono l’annuncio come la fine della guerra e suonarono le campane a festa. Era, però, l’inizio di tante sofferenze, ma anche del riscatto e della lunga e gloriosa pagina della resistenza.

9 settembre 1943 l’Italia registra una delle pagine più vergognose, tragiche e difficili della sua storia: la fuga dal Porto di Ortona del suo Re Vittorio Emanuele III.

Un episodio che, insieme alla firma del vituperato  Regio decreto legge n. 1728 del 17 novembre 1938 meglio noto come “Leggi razziali”, condanna al giudizio della vera storia il predetto sovrano.

Il Re d’Italia, Imperatore d’Etiopia, Primo Maresciallo dell’Impero e Re d’Albania abbandonò Roma, con una precipitosa fuga lungo la Tiburtina, col codazzo della sua corte e tanti generali, lasciando senza disposizioni l’esercito sparso in diversi fronti.

Le tragiche conseguenze che seguirono segnarono il sacrificio e la morte di un esercito lasciato allo sbando, soggetto alle rappresaglie delle truppe tedesche: Cefalonia docet.

La fuga da Roma, il trasferimento a Crecchio e l’arrivo a Ortona

Nella notte fra l’8 e il 9 settembre 1943 Vittorio Emanuele III scappò da Roma, arrivò nel Castello di Crecchio in mattinata, ospitato dalla famiglia Bovino.

Continuò la sua fuga verso il porto di Ortona, dove si imbarcò su un motopeschereggio: a largo lo aspettava la motonave “Baionetta” (che potete vedere in foto).

Una fuga convulsa di generali che tentarono, nottetempo, in ogni modo di salire sulla motonave. Lì un pescatore di Ortona, riconoscendo la Regina Elena in piedi, la fece sedere su alcune cassette di legno e  lei, signorilmente gli disse “Mi ricorderò di lei”.

Vittorio Emanuele III raggiunse così Brindisi dove creò il malinconico “Regno del Sud”.

L’Abruzzo occupato dalle soldataglie tedesche

L’Abruzzo restò occupato dalle soldataglie tedesche e subì da loro ogni genere di soprusi, stragi, rovine, stupri ed indescrivibili episodi di violenza.

Ricordiamo, fra le tante, la strage di Pietransieri, dove il 21 novembre 1943, nel bosco di Limmari, furono mitragliate ed uccise 128 persone, fra cui 34 bambini al di sotto dei 10 anni e un bimbo di un mese.

La popolazione locale non potè seppellire i loro cari i cui  cadaveri rimasero a lungo sulla neve rossa di sangue.

Gli abruzzesi risposero col loro coraggio e la loro fierezza, nel tentativo, impari, di scacciare le orde barbare dalla loro terra. Iniziò così l’epopea della Resistenza in Abruzzo, in ogni suo angolo sorsero gruppi armati alla meno peggio.

I Patrioti della Brigata Maiella

L’elenco delle Bande partigiane in Abruzzo risulta lungo, citarle si corre il rischio di dimenticarne  qualcuna, ma a mò di esempio vale un solo nome: i Patrioti della Brigata Maiella.

Già, si definirono e restarono Patrioti, senza alcun marchio politico, fino all’ultima battaglia, da Fallascoso a Pizzoferrato: unica formazione militare a seguire le truppe alleate prima in Abruzzo, poi nelle Marche, entrarono per primi in Bologna e raggiunsero finanche Asiago.

Non è retorica, i fatti storici parlano da solo: hanno scritto pagine di eroismo: 54 caduti, 131 feriti di cui 36 mutilati, 15 medaglie d’argento, 43 medaglie di bronzo e 144 croci al valor militare.

Nel Museo Sacrario delle Bandiere delle Forze Armate al Vittoriano esiste La Bandiera di Combattimento della Brigata Maiella, decorata di medaglia d’oro,

La formazione della Brigata Maiella si sciolse a Brisighella il 15 luglio 1945, in una cerimonia di onore alle armi.

I Patrioti, presero la via del ritorno a casa, con il solo tascapane (qualcuno portava anche armi). A piedi o con mezzi di fortuna, erano però fieri di aver compiuto il loro dovere.

In essi esisteva la forza e consapevolezza che per loro iniziava la seconda pagina della Resistenza. La ricostruzione morale, civile, politica, sociale ed economica delle proprie case e dei propri paesi, dove trovarono solo lutti, rovine e miseria.

La nuova Italia Repubblicana consegna alla storia un dopoguerra di rinascita.

E l’Italia risorse!

 

La foto nell’articolo è di dominio pubblico

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